venerdì 25 ottobre 2013

Quella storia


C'è una persona che mi manca tanto da provare dolore.

Una volta stavo con Primetta, eravamo sposati.
Non eravamo esattamente felici, ma si stava abbastanza bene.
C'era il tabù dei figli, è vero: lei non ne voleva, non da me, e il motivo era che secondo lei io non riuscivo a darle amore a sufficienza, e per questo credeva che non ne avrei dato neanche ai nostri figli.
Segretamente, lei aveva cercato amore anche da altri. Io non lo avevo ancora saputo. Non ho mai pensato a un tradimento, però; ho assorbito completamente le sue motivazioni, e le ho accettate.
So che noi non funzionavamo, sotto quell'aspetto, e capisco che non c'entra la colpa. Lei aveva bisogno di provare.
Al'inizio della primavera del dodicesimo anno tornò ad aleggiare l'idea dei figli. Primetta era quasi tornata disponibile a parlarne, perlomeno; ma c'era ancora molta distanza da colmare.
Venne l'estate e venne Secondina, che mi prese anima e corpo. Erano mesi e mesi che Secondina si manifestava solo tramite messaggi scritti, da me ricambiati, piacevoli finché non mi facevano avvertire un pericolo di sirena, per il quale spesso mi rinchiudevo nel mio nulla. Ma, con la costanza dell'acqua che scava la roccia, lei un giorno uscì allo scoperto, e così feci anche io.
Fu uno spettacolo di fuochi d'artificio: luce abbagliante con tutta la notte intorno. Persi tutto quello che avevo dentro, e feci spazio a mille altre cose, e di tutte mi feci carico di doverne fare esperienza, dal nulla.
Uno massacrò letteralmente Primetta, che dopo due stagioni dovette andarsene, svuotata di tutto. Le sue lacrime dense sono una immagine che mi tormenterà ancora per molto tempo, come una fotografia non vista e ritrovata anni dopo in un cassetto, fonte di meraviglia, inoltre, per essere stato capace di rimanere impassibile davanti ad esse quando erano ancora calde.

La Secondina di quell'autunno è la persona che oggi mi manca di più.
Quella Secondina fu l'essere vivente più completo, bello, interessante, il più soddisfacente di cui io penso si possa fare esperienza al mondo.

Ma poi anche lei fu massacrata. Ovviamente.
Oggi rimane sia per me che per lei il dovere di andare avanti, tra le maglie della rabbia e del rancore per il mondo. Poca serenità. Una certezza di solitudine che va oltre l'esperienza. Una determinazione nell'isolarsi che mi lascia sgomento.
Oggi ho accanto una persona trasformata fatalmente dalla vita, che odia l'amore – come dice lei stessa – e lo odia per un atto volontario e deliberato; che disprezza e nega e odia senza filtri, che cerca una soddisfazione nascosta in altri rapporti epistolari segreti, per i quali impegna tutto il tempo libero.

E questa è la mia visione, ovviamente. Lei non lo approverebbe mai, lo so bene.

Io ero Uno.