giovedì 9 dicembre 2021

Semplificare il mondo

Qualche minuto fa parlavo con una persona al telefono.

Si parlava di sensi di colpa.

E il mio cervello cercava vorticosamente un modo per rendere chiaro con meno parole possibili la mia idea fondamentale: il mondo è troppo complesso per rendere significativa l'attribuzione di un peso a cose come i sensi di colpa. Talmente complesso che alla fine, guardando da sufficientemente lontano, la sua complessità diventa di una semplicità estrema. Ecco, ecco: guardando dalla distanza giusta, il mondo è semplicemente complesso, in modo letterale.

E così le ho detto. Devi solo semplificare il mondo, è tutto lì.

Se ci riesci, se riesci a ammettere che alla fine la complessità del mondo svanisce con tutti i suoi rivoli in un sistema semplice – la cui semplicità comprenda tutta la sua complessità, allora vivi davvero.

Le ho detto proprio così: se semplifichi il mondo, allora vivi davvero.

Non lo so. Ma mi è sembrato un modo bellissimo per dire le cose come stanno.

Grazie.

Grazie a chi, con un mirabile colpo di arte maieutica, mi ha tirato fuori questa idea. Il mio augurio di semplificare il suo mondo!

domenica 25 luglio 2021

Il virus del cambiamento

Due minuti fa mi sono trovato a scrivere sul Diario di Leto:

Le cose che vanno come non te lo aspetti o come non vorresti, non aspettarti che tornino come te le aspettavi o come le volevi. Il tempo ha la sua inerzia, ma raramente le cose riprendono la piega desiderata; bisogna saper accettare il cambiamento, farsene una ragione, trovare anzi il modo di girare in buono quello che lì per lì ti sembra cattivo. Come un virus, il cambiamento entra dentro e si attacca alle tue cose, e per quanto esse sembrino tornare a quello stato che tu consideravi “normale”, il virus del cambiamento gli rimane dentro, più o meno manifesto, più o meno “dannoso”, più o meno capace di mutare la loro “natura” (virgolette perché sempre meno mi riesce pensare che la natura sia naturale).

Anche l’evoluzione fa così. Non c’è un fine, né tantomeno un fine giusto o sbagliato; c’è solo una strada da percorrere, che si crea da sola, viaggiandoci.

Sono sempre cattivi i virus? Guardando tutto dal punto più alto, non direi. Non dal loro punto di vista, sicuramente; ma a guardare bene, accettando il nonsenso dell’aspettativa di un fine, può darsi che non siano in assoluto cattivi neanche dal nostro.

E mi piace riportarlo qui.

venerdì 18 giugno 2021

Lasciati andare

Oggi ho la certezza di stare su una soglia, e di esserci sempre stato, senza saperlo – fino a tempi recenti: la soglia perenne del dubbio e dell'incertezza. Quella soglia che ti separa a volte di poco e a volte insopportabilmente da un mondo inesistente fatto di sicurezze.

Paradossalmente, l'unica certezza che ho è che il mondo è incerto, e incerta ogni cosa che lo riguarda, su ogni piano. La scienza, primariamente – la cosa più solida che abbiamo, al momento – non pretende certezze, nemmeno lei (tutt'al più offre ipotesi, le migliori del momento, anche se taluna potrebbe sembrare una verità assoluta); e nel resto del mondo i confini tra cose e idee sono sempre assegnabili quanto meno in modo arbitrario. Quanto meno: io sono diverso da te, senza alcun dubbio, e i miei confini non sono i tuoi che per poche, misere idee concomitanti.

Se hai certezze, allora non mi piaci; non mi piace il tuo essere, e mi dolgo per l'occasione che stai perdendo: di considerare il mondo per quello che è, di non illuderti di avere delle verità, di non innalzarti a cosa non puoi essere. Non ti dirò che sono contento perché tu, magari, vivi bene nella tua illusione; non te lo dirò perché sono triste per la tua occasione perduta.

Per quanto mi riguarda, invece, mi trovo bene sulla mia soglia; mi trovo bene, nonostante la controintuitività della cosa, a dover fare i conti tutti i giorni con qualcosa che mi cambia, dentro o fuori; fossi invece certo di certezze insopportabili, arriverebbe sicuramente il momento in cui il dubbio mi ammazzerebbe. Come probabilmente è successo, qualche tempo fa.


martedì 8 giugno 2021

Daniele

Daniele non c’è più.

Daniele non funziona più.

Daniele è morto.

Daniele ha vissuto 26.952 giorni.

Daniele era l’Amico.

Qui non potrò far capire al lettore che poche, pochissime cose che lo riguardavano – ma forse la concisione dirà più delle parole.

Storia di una amicizia; storia di una Persona.

L’elenco delle cose che mi ha insegnato o che comunque ho mutuato da lui è lungo e vario.

Un giorno capii che fuori dalla mia casa paterna c’era un mondo intero da scoprire, e la voglia esplosiva di farlo me la diede lui; e fu lui il primo a farmi vedere parti del mondo che senza di lui avrei visto solo molto più tardi o forse non avrei mai visto.

6.632 giorni ci separavano; dunque la sua esperienza era già immensamente più ampia della mia; ma i suoi gusti, il suo senso della bellezza, la sua voglia di ricercare e di capire erano meravigliosi, al di là di tutto. Questi, ho mutuato per primi – o quanto meno ho mutuato da lui la possibilità di coltivare gusti, senso della bellezza, voglia di ricercare.

C’è una foto di quel tempo, che mi ha fatto lui, e che dice tanto:

Voi cosa ci vedete?

Per me, questo era il suo occhio.


Ora penso necessariamente a Noi, a Homo Sapiens.

Le considerazioni sulla nostra esistenza (così dettata dal caso e priva di senso, nella mia visione) sono state forse l’unico elemento di disaccordo tra i nostri atteggiamenti; ma non ne sono più del tutto sicuro.

Sicuramente Daniele aveva il senso di una certa spiritualità, mentre io ne sono del tutto privo; e ne sono privo perché la mia esperienza e la mia ragione mi ha portato a esserlo, mentre lui ammetteva e anzi – spesso – poggiava su considerazioni che chiamo qui forse impropriamente spirituali.

Sicuramente ammetteva l'esistenza di un regno di cose che vanno oltre ogni possibile spiegazione umana – ma intendo scientifica, senza spiegare qui tutte le implicazioni della parola. Io oggi non lo ammetto più; ma non è stato certo questo che ci ha allontanati, negli ultimi anni.

È la mia vita e le mie necessità e desideri che mi hanno allontanato da lui, e me ne dolgo – ma non ho saputo e voluto fare diversamente.

Lui è stato in ogni caso sempre qui, dentro di me, come riferimento al di sopra di tutto, perché prima fonte di ogni cosa che conta, per me.

Lui viveva in uno stato di coscienza sublime e dannato, allo stesso tempo; sublime perché sublime, e dannato perché troppo elevato. Lui si rendeva conto in modo insopportabile dell'assurdità di tanta parte del mondo – come e molto più di me, 6.632 volte più di me – e questo gli dava la rabbia per soffrirne e la forza per andare avanti. Credo abbia gustato la vita in modo invidiabile, e credo l'abbia sopportata in modo mirabile.


Gli voglio tutto il bene possibile.

Sarà un altro lutto al quale mi abituerò con grandissima fatica.






sabato 1 maggio 2021

I battiti del cuore

Non disdegno gli attimi di nulla: quei momenti nei quali stai lì, magari seduto, senza fare niente, cercando di non pensare a niente, nel tentativo di riposare/scaricare la tensione/ricaricarti.

Forse coincidono con quello che altri chiamano meditazione; non saprei, invero.

A tratti sembrano qualcosa di negativo, perché, magari, oggi come oggi (e qui come qui) trovarsi senza fare nulla (anzi: a perseguirlo) può davvero sembrare qualcosa che somiglia a una fuga, o quantomeno strano. Può sembrare sintomo di depressione.

Ed è comunque davvero difficile estraniarsi quanto basta per non fare, pensare, smuovere, sperare nulla.

Invece, a volte, è il nulla che si impone, e ti viene difficile inventare qualsiasi cosa per riempirlo.

Prima ho pensato: a volte, in quei momenti, il contatto col mondo è così rotto che l'unica attività cosciente che ti rimane (o che ti si impone) è ridursi a contare i battiti del proprio cuore.

E subito dopo: ridursi? Mah. Perché non elevarsi?

Sì, io credo che non ci siano differenze, alla fine.


(Ah, non c'entra quasi niente, ma: questo.)

martedì 30 marzo 2021

Evoluzione

Io sono nessuno, ma mi sono fatto un'idea.

Cercare di capire, realizzare cosa siamo e perché ci siamo e siamo così (sostanzialmente: un caso piuttosto improbabile, tutto sommato) mi aiuta parecchio a sopportare il mondo, la gente, le idee altrui (quasi sempre in contrasto con le mie, naturalmente).

Spiego meglio: ascoltare Telmo Pievani, Guido Barbujani, Giorgio Manzi e molti altri che per loro bontà si prodigano di divulgare ciò che ragionevolmente riteniamo essere più vicino possibile a come sono andate le vicende che  hanno portato l'umanità qui e ora, così com'è, mi dà un sollievo diffuso; perché capisco che non esiste nessun presupposto, nessun disegno; nessuna speranza, nessun fine; solo il caso, solo la possibilità; e, semmai, è esistito un rischio immane di non esserci, di estinguersi già molto tempo addietro. E invece eccoci qui, a pensare, agire, esercitare stupidità: perché l'evoluzione mostra anche – incidentalmente – la nostra propensione alla credulità e alla stupidità, forse perché l'esistenza è qualcosa di troppo complesso per poter essere organizzata da un semplice cervello umano. E non rendersi conto di questo provoca sofferenza.

Ciononostante, non riesco pienamente a mantenere la mia serenità, tanto il mio cervello è condizionato, o scarso di risorse, forse; o inadatto a gestire l'esistenza come il mio scheletro è inadatto a gestire la postura eretta rispetto a quella più naturale a quattro zampe.

Ma va bene così, dai; se capisci che siamo qui per caso e che avremmo potuto non esserci, o essere davvero diversi, va bene così. Va bene farselo andare bene, direi.

E poco di più.