domenica 19 aprile 2020

I no-vax, le scie chimiche e tutte quelle cose lì

Se c'è una cosa che mi fa stare male è la perdita di un'occasione. È l'unica cosa che, se fatta intenzionalmente e/o con ragione, ritengo letteralmente un peccato.

Ora, lasciamo da parte per un momento i casi particolari, come appunto i no-vax e tutti quegli altri che praticano idee, atteggiamenti e teorie che normalmente definiamo pseudo-scientifiche, e saliamo un paio di scalini per concentrarci sull'atteggiamento generale di chi voglia sostenere una qualunque idea, atteggiamento, teoria.

Il problema è: come posso pormi nei confronti di una qualche qualità o aspetto della realtà che non conosco, e di cui sto cercando di capire qualcosa?
A me pare ormai naturale (tanto naturale che stento a credere di aver vissuto parte della mia vita senza averlo riconosciuto, o senza dare per scontato che questa debba essere una dote innata) che l'unico atteggiamento serio debba essere quello della ricerca che procede per dimostrazioni, o quanto meno le approssima il più possibile laddove una dimostrazione vada oltre le possibilità offerte dall'argomento dell'investigazione.
Investigazione, appunto.
Quale detective mai concluderebbe qualcosa senza prove, senza dimostrazioni le più rigorose possibili?
Chi mai dovrebbe credere a qualcosa solo perché te lo dico io?
Ciò detto, l'attenzione va immediatamente al fatto che la realtà (la natura) spessissimo non offre la possibilità di condurre dimostrazioni rigorose in assoluto. Provare per credere. La realtà è fatta così: anche senza tirare in ballo i problemi relativi all'interpretazione, alla soggettività, alla difficoltà di comunicare concetti e via dicendo, rimane sempre un sottofondo di ineffabilità (ops, volevo dire inconoscibilità) insito nella natura stessa, una specie di principio di indeterminazione esteso a tutto ciò che esiste. Ma fermiamoci qua, con questo discorso, che altrimenti diventa filosofico e autoreferenziale.
Dunque, a essere onesti, da queste poche considerazioni scaturisce un atteggiamento che impone di andare cauti, di usare la massima circospezione, di usare il più possibile quello strumento meraviglioso che chiamiamo scetticismo. Tutto questo lo chiamiamo metodo scientifico, o, con locuzione più significativa, metodo sperimentale.
E da quelle considerazioni scaturisce anche un altro fatto, il più importante: che chi si pone davanti alla natura e alla realtà con questo atteggiamento è colui che possiede ragionevolmente meno certezze di tutti.
È in effetti l'atteggiamento più onesto.
Dall'altra parte ci sono le credenze e la pseudoscienza: cose che nascono dall'assumere per vera una certa teoria senza condurre indagini, ma in modo fine a sé stesso. Te lo dico io…

È tipico dell'atteggiamento scientifico non dare alcunché per scontato, e niente per definitivo.
Esistono mille esempi di come teorie ritenute ormai universalmente valide siano state modificate, estese, completate da altre teorie successive. L'esempio più noto è forse la gravità galileiana, ampliata e meglio descritta successivamente dalla gravità newtoniana, confluita poi e clamorosamente allargata dalla relatività einsteniana.
Perfino il sistema copernicano può essere considerato a tutti gli effetti una estensione e una sistematizzazione del sistema tolemaico.
Chi voglia saperne di più può attingere a piene mani nel fantastico canale YouTube CURIUSS, dell'amico Alan Zamboni.

E infine una sorta di corollario: chi fa scienza spesso indaga in campi che spesso sembrano insignificanti o lontani da qualunque utilità pratica, magari scoprendo cose utili senza volere o semplicemente osservando fenomeni per il puro piacere di conoscerli; è come se, così facendo, si mettessero da parte "pezzi di mondo" che poi potrebbero essere riutilizzati in seguito, e praticamente sempre succede che quei pezzi di mondo vengano riutilizzati. L'esempio che mi piace di più viene dalla matematica ed è il concetto di numero immaginario: roba ipotizzata nel XVI secolo e data per assolutamente fantasiosa e di nessuna utilità pratica, mentre oggi è alla base di molte teorie e di molte discipline, come l'elettrotecnica.

Un giorno del '99 i signori David Dunning e Justin Kruger, psicologi, quasi per scherzo provarono a compiere un'indagine che è passata alla storia come effetto Dunning-Kruger. In due parole, e semplificando all'estremo, cercarono di capire se effettivamente sia intuitivo quanto detto fin qui. E non lo è, non lo è, cavolo. Dati alla mano, non lo è. La comunità scientifica all'inizio li derise, perfino (altra auto-referenza!), ma oggi l'effetto Dunning-Kruger è una delle descrizioni migliori che abbiamo di come la gente percepisce il mondo. 

Tutto questo l'hanno detto in migliaia prima e molto meglio di me, naturalmente; ma uno fra gli ultimi mirabili esempi è questo, se volete approfondire.

Ora dovrebbe essere comprensibile perché ritengo l'atteggiamento di molti un'occasione sprecata.