mercoledì 23 dicembre 2020

Il secondo movimento della Settima

Tecnicamente - ma senz'altro lo sapete - è una marcia funebre; ma Beethoven ha scritto allegretto in testa allo spartito, come indicazione della dinamica. Chissà come l'avrà pensata, lui, l'autore.
Ne esistono interpretazioni molto veloci e altre lente o molto lente; la mia preferita è lentissima. L'ho trovata sulla rete molto tempo fa e non ho mai appurato chi ne fosse l'interprete (il direttore). Sicuramente, le interpretazioni di Solti o di von Karajan sono eccessivamente veloci, per i miei gusti, almeno. Solo una interpretazione lenta, lentissima, ti permette di penetrare il tessuto del discorso che vi si svolge.
È dentro alla settima sinfonia, ma è tutto sommato un pezzo a sė. È totalmente autonomo.
Adesso dico delle cose, le dico io, anche se non sono nessuno.
Racconta il viaggio di un uomo.
Lo racconta soffermandosi sulla condizione normale dell'uomo saggio e sul dolore.
Nello svolgersi di questo racconto, che non ha mai toni eroici o troppo sottomessi, l'uomo nella sua condizione normale non alza mai la testa, consapevole della propria condizione; è solo nella tragedia del suo dolore che la alza, ma composto, senza urlare, senza chiedere, solo cercando di resistere, proprio in quanto uomo.
Normalità e dolore si alternano e si fondono, a volte divenendo qualcosa di surreale o grottesco, imprevedibile, alieno; esattamente quello che certo dolore provoca negli uomini, a volte. Sì smarrisce la coscienza di noi stessi, si parte per un viaggio che, se ci riporterà a casa, ci riporterà comunque cambiati.
Anche il finale è notevole: a un certo punto sembra volgere al termine ma, no, ce n'è ancora; e poi finisce in modo sì decoroso, ma tutt'altro che solenne. Come dovrebbe essere, secondo me. Come è, anzi, in genere.