mercoledì 14 ottobre 2009

Colpa. E delitto.

La colpa è quando uno fa qualcosa di sbagliato, ma lo fa involontariamente.
Il delitto è quando uno lo fa apposta.
Queste sono le definizioni del vocabolario, ma io credo che il primo sbaglio sia nelle definizioni stesse.
Non lo vedete anche voi? Ma, ditemi, come si fa a definire che qualcosa è sbagliato? Sbagliato per chi?, secondo quale regola? Devo dare altre spiegazioni per farvi capire, per farvi vedere il nonsenso?
Non ditemi che l’arbitro è il senso comune; il senso comune è solo la media di come ragiona la gente; peccato, però, che la gente ragioni con miliardi di teste diverse, dal bianco al nero, dal bello all’orrido, dal duro al molle, dal pratico al teorico, da ogni estremo al suo opposto.
Una cosa sbagliata per principio, come la colpa, ci condiziona per tutta la vita.
Dai, trovatemi uno che se ne sia saputo liberare in tempo, prima di massacrarsi da solo. O un pazzo, o un genio, di sicuro.
Io ho quasi quarantaquattro anni, sono nato in questo posto, tra gente che mi sembra normale. Ho sentito nominare – anzi, sono stato in grado di valutare – per la prima volta il concetto di senso di colpa che avevo ventitrè anni. Lo ricordo perfettamente. Lui si chiamava Martinez, e a un certo punto mi disse, cambiando discorso, all’improvviso: “Non dare ascolto ai sensi di colpa: ce li abbiamo tutti, condizionano la nostra vita e ci avvelenano. Non dargli mai ascolto. Vivi serenamente, sii giusto e fai quello che sai fare, ma non dare mai peso ai sensi di colpa. Liberatene”.
Disse così, disse “liberatene” perché era normale che loro si fossero già impossessati di me, evidentemente. Poi Martinez sparì per tornare in America Latina, dove era nato. Mi regalò un flauto di canna fatto con le sue mani, prima di partire. Sono passati più di venti anni, e io lo vedo ancora là, seduto a quel tavolo, mentre mi diceva queste cose.
Eppure…
Eppure la vita è andata avanti, e se io sia stato giusto o meno, non posso saperlo; anche perché – al solito – dovrei per un attimo abitare nella testa di ognuno per giudicare e, così, per saperlo. La vita è andata avanti, io ho continuato per tutto questo tempo a portarmi nel cuore le parole e i fatti che Martinez mi aveva insegnato in pochi attimi; ma, senza neanche pensarci troppo, non posso proprio dire né di aver imparato, né di aver capito.
Ho mescolato perfino l’amore con la colpa. Ed ora, mentre scrivo, mi accorgo che non riuscirò mai a trasmettere questo pensiero fuori di me, forse perché è talmente assurdo che non ha senso di per sé.
Non lo so, davvero; ma sono sicuro di aver temuto fallimenti per colpa mia, di aver avvertito colpe per le quali ho gettato la spugna o mi sono castigato da solo; peggio ancora, di aver rinunciato o fallito in pieno per non aver colpe.
Una accusa di colpevolezza è una delle armi migliori per predominare, insieme alla retorica, arte sopraffina, studiata apposta, quasi si direbbe, per quel fine. Tutt’ora ci casco, nonostante tutto. Tutt’ora mi lascio incolparedecidendo che, sì, potrebbero anche avere ragione; e così mi arrendo, scivolo nella depressione, decido di castigarmi senza deciderlo, cerco un rimedio che non è quello che dovrei trovare io.
Non dirò che, al contrario, quello che ci vorrebbe è puro cinismo, certo, ma dico senz’altro che incolpare e lasciarsi incolpare sono due tra le cose più stupide e insieme perfide che si possano infliggere al nostro prossimo e a noi stessi.
Mille altre cose si potrebbero ancora dire, su tutto questo, e lo sapete bene; ma si deve prima mettere in pratica la cosa basilare senza la quale tutto il resto non ha senso, la più difficile da fare, in assoluto: cancellare la colpa dalla nostra testa.
Sentirsi in colpa, quello sì che è un delitto.

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